Crescenzago, sino alla recente industrializzazione, rimase per molti secoli un borgo prevalentemente agricolo, tuttavia, fin dal tardo medioevo, si sviluppò, come in molte altre zone lombarde, un’attività che accomunava aspetti di rilevanza agricola, industriale e commerciale: la bachicoltura.
Parallelamente alla bachicoltura ci fu lo sviluppo della gelsicoltura, la coltivazione del gelso, le cui foglie sono il nutrimento essenziale ed insostituibile dei bachi da seta.
L’importanza del gelso è indissolubilmente legata al suo utilizzo nella coltura del baco da seta, attività che fino ai primi decenni del XX secolo ha rappresentato una significativa fonte integrativa di reddito per molte famiglie contadine del territorio di Crescenzago.
La coltivazione del gelso nel territorio milanese fu fortemente incentivata soprattutto durante il ducato di Ludovico Maria Sforza detto il Moro. Secondo alcuni, l’appellativo “Il Moro” deriverebbe proprio dal vocabolo dialettale milanese muròn, (gelso).
“Muròn” deriva dal latino “morus” che a sua volta deriva dal celtico “mor”: nero, il color del frutto. Per distinguerlo dalla mora di rovo, i Romani lo chiamavano “morus celsa” (moro alto).
Il gelso è una pianta con centinaia di varietà che a volte presentano notevoli differenze morfologiche, la specie più utilizzata a Crescenzago fu il Gelso nero (Morus nigra L.) che produce frutti nero-violacei.
Le foglie dei gelsi, in quanto insostituibile alimento dei bachi diventarono merce preziosa ed al centro di aspre contese. Nel XV secolo gli Sforza ordinarono ai proprietari di piantare gelsi nei propri fondi, nel XVIII secoli gli austriaci intervennero disciplinando con leggi apposite la gelsicoltura, severe sanzioni furono previste per coloro che rubavano le foglie o danneggiavano la pianta e nel 1739 fu vietata per legge l’esportazione di ”foglia de’ moroni”.
Secondo uno studio di R.P. Corritore (1), nel periodo che va dal XVI al XVIII secolo la progressiva diffusione del gelso nello Stato di Milano fu la seguente:
Periodo | No. di piante di gelso |
Inizio ’500 | 180.000 |
1580 | 864.000 |
Inizio ’600 | 1.137.600 |
1769 | 1.800.000 |
1780 | 2.160.000 |
Il baco da seta riguardo all’alimentazione ha esigenze molto precise: non mangia foglie che siano appassite o bagnate. La raccolta delle foglie del gelso, che era un’incombenza riservata prevalentemente alle donne, era un impegno assiduo e giornaliero. Le donne uscivano di buon ora per raccogliere la dose quotidiana di foglie.
Per rendersi conto della voracità del baco da seta è utile ricordare che dalla nascita fino alla trasformazione in crisalide consuma una quantità di foglie di gelso pari a 40.000 volte il suo peso corporeo e per ottenere 1 kg di seta grezza occorrono le foglie di almeno 8/9 alberi di gelso.
Nel passato i filari di gelso caratterizzarono fortemente il paesaggio di Crescenzago.
I gelsi venivano piantati in interminabili filari sui margini dei fossi, lungo i bordi divisori dei campi, lungo le stradine di campagna, ma venivano messi a dimora anche nei cortili, negli ortini di famiglia attorno alle cascine, lungo le strade del paese. Nelle vecchie cartoline di Crescenzago dei primi del ‘900 si individuano chiaramente i gelsi piantati lungo le vie del paese.
La lavorazione del baco da seta tramontò attorno agli anni 30 dello scorso secolo, in seguito all’introduzione delle prime fibre artificiali e di conseguenza si ridusse anche l’interesse per il mantenimento di queste piante. Nel corso della seconda mondiale il taglio indiscriminato delle piante che vennero utilizzate come legna da bruciare provocò la quasi scomparsa del gelso nel territorio di Crescenzago.
Sino a qualche decina di anni fa era ancora possibile osservare belle piante di gelso in via San Mamete, di fronte all’entrata della vecchia filanda De Ponti. Attualmente ci sono solo rari esemplari nell’area del Parco Lambro.
Un detto può far capire più di ogni altra cosa l’importanza che ha avuto il gelso nella cultura milanese.
“I murun fan minga l’uga” (i gelsi non fan l’uva) diceva un vecchio detto popolare che equivaleva pressappoco a dire “Non si può cavar sangue dalle rape”.
Il detto fu ribaltato dai milanesi e diventò “A Milan anca i muròn fan l’uga” per ribadire che a Milano ogni cosa può essere possibile !
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- Storia economica, ambiente e modo di produzione. L’affermazione della gelsibachicoltura nella Lombardia della prima età moderna, “Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée modernes et contemporaines”, vol. 124 (2012), n. 1, pp. 1-19
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